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ΙΧΘΥΣ

I SETTE VIZI CAPITALI

Superbia

n° 1

Superbia: s. f. [dal lat. superbia, der. di superbus «superbo»].

 

 

Inclinazione a una sproporzionata stima di sé, delle proprie abilità e dei meriti che ne conseguono, siano essi reali o presunti. Il peccato di superbia si manifesta esteriormente con un atteggiamento altezzoso, ovvero con un ostentato senso di superiorità nei confronti degli altri. Esso è autoesaltazione portata fino al disprezzo delle altre persone, delle leggi o di qualunque tipo di ordine che non riconosca nel superbo la superiorità che crede di avere.

 

Nel superbo può allora facilmente insorgere la volontà di conquistare, esclusivamente per se stesso e con ogni mezzo possibile, una posizione di grande privilegio, che sia il più possibile superiore a quella degli altri, ai quali non resta altro se non riconoscere e dimostrare di accettare la loro inferiorità.

 

Nella tradizione cristiana la superbia è considerata essere la peggiore dei vizi capitali, perché è la radice di ogni altro peccato e perché, quando portato ai suoi massimi estremi, conduce il superbo compiere il più grave errore, ossia quello di ritenersi addirittura eguale, se non superiore, a Dio stesso, con il conseguente disprezzo del Suo Amore e del Suo Ordine. È questo il peccato di Satana, l'origine della sua caduta dal Cielo.

Convinzione irremovibile di essere superiori, a chiunque altro.

n° 2

Avarizia

Attaccamento eccessivo alle ricchezze, senza volersene separare per alcun motivo

Avarizia: s. f. [dal lat. avaritia, der. di avarus «avaro»].

 

 

Desiderio di possedere e conservare denaro, beni o oggetti di valore in quantità di molto maggiori a quanto necessario per la sopravvivenza o per una vita comoda.

L'avaro ha un eccessivo ritegno nello spendere e nel donare, il valore che attribuisce a ciò che possiede è smisurato e supera qualunque altro valore: conta quindi semplicemente l'avere piuttosto che il fruire di ciò che si ha, il tenere per sé piuttosto che il dare.

A differenza dell'avidità che si incentra sull'accrescimento del proprio possesso, l'avarizia si incentra invece sulla conservazione meticolosa di ciò che già si possiede.

 

La frenesia dell'avaro lo porta ad accumulare ogni ricchezza per il suo solo vantaggio e, quindi, a non lasciare niente agli altri. Ma il premio dell'avaro è un illusione: egli è infatti schiavo delle sue stesse ricchezze e perde la sua libertà poiché giunge a subordinarsi ai suoi stessi possedimenti modificando di conseguenza ogni aspetto della sua vita.

 

Nella tradizione cristiana il peccato di avarizia, proprio perché porta chi ne è travolto a mettere le ricchezze al di sopra di tutto, è considerato essere una forma di idolatria: il denaro infatti prende il posto di Dio.

n° 3

Lussuria

Desiderio irrefrenabile del piacere sessuale fine a sé stesso

Lussuria: s. f. [dal lat. luxuria «rigoglio, eccesso, lascivia, sfrenatezza», der. di luxus -us «lusso»]

 

 

La lussuria è il disordinato desiderio del piacere sessuale. Nella lussuria infatti la propria soddisfazione carnale viene perseguita come unico fine, indipendentemente dall'amore per il prossimo, l'unione nell'amore e la procreazione.

 

La persona lussuriosa ha un egoistico amore di sé che la porta all'indifferenza, se non alla negazione, dell'amore altrui: ella persegue infatti il piacere sessuale a ogni costo, indifferentemente dal male recato agli altri.

 

Il peccato di lussuria induce un accecamento della mente e un turbamento della volontà. Il peccatore e la peccatrice infatti si lasciano volontariamente dominare dai sensi perdendo la capacità di controllare le proprie passioni.  Essi diventano quindi schiavi delle proprie pulsioni giustificando a sé stessi ogni ricerca e modo di soddisfare i piaceri della carne.

Più in generale, la lussuria svaluta l'eterna attrazione tra uomo e donna, riducendo la persona a un mero oggetto per la propria gratificazione carnale e a strumento per alimentare la propria superbia.

 

Nella tradizione cristiana, il desiderio sessuale non è malvagio di per sé - esso infatti rientra nell’ordine del Creato amorevolmente stabilito da Dio – tuttavia, quando tale desiderio viene separato dall'amore di Dio e unito soltanto all'amore di sé, diventa lussuria, vizio e peccato.

n° 4

Invidia

Tristezza per il bene altrui, percepito come male proprio

Invidia: s. f. [dal lat. invidia, der. di invĭdus: v. invido]

 

 

Stato d'animo o sentimento spiacevole che nasce dalla tendenza a volere per sé un bene o una qualità altrui.

L'invidia è spesso accompagnata da avversione e rancore verso chi possiede particolari beni o qualità che portano l'invidioso ad augurare il - se non addirittura a fare del - male all'altro, affinché il dolore e la tristezza che esso suscita nel cuore dell’invidiato possano oscurare le sue qualità e diminuire la felicità che consegue da ciò che egli possiede.

 

L'invidioso prova infatti risentimento e astio per la felicità, la prosperità e il benessere altrui, sia che egli si consideri escluso ingiustamente dalla partecipazione a questi beni sia che, già possedendoli, ne pretenda l'esclusivo godimento. Per questa ragione il peccato di invidia è una pretesa di esclusività delle doti o qualità di un prossimo, ossia è una pretesa che nasce dall'incapacità di rinunciare al proprio orgoglio, il quale è continuamente scelto sopra ogni cosa, portando l’invidioso, nella sua forma estrema, ad invidiare tutti, rinchiudendolo in una gabbia di infelicità e solitudine.

 

Nella tradizione cristiana l'invidia è un vizio capitale perché, come la superbia, porta all'eccessivo amore di sé a scapito dell'amore fraterno e dell'amore per Dio, e lascia così lo spazio all’azione del male.

n° 5

Gola

Abbandono ed esagerazione nei piaceri della tavola, e non solo

Gola: s. f. [lat. gŭla]

 

 

L'ingordigia o il vizio di gola è il desiderio di ingurgitare cibi, bevande o altre sostanze più di quanto l'individuo necessiti. L'ingordo sostituisce un comportamento di sfrenatezza e di lascivia al alla modestia e al controllo di sé.

 

L'ingordigia presume un certo egoismo o una incapacità di controllo di sé, che portano il peccatore ad essere schiavo di ciò che vuole inghiottire oltre che a limitare la sua attenzione allo spreco, intesa come forma di amore verso il prossimo. Per questo e per la mancanza di rispetto dell'ingordo nei confronti dell'ordine divino, esso è considerato dalla tradizione cristiana un peccato capitale.

n° 6

Ira

Desiderio irrefrenabile di vendicare violentemente un torto subito

Ira: s. f. [lat. īra]

 

 

Sentimento improvviso e violento suscitato dal comportamento delle persone o da avvenimenti, esso rimuove i freni inibitori che presiedono le scelte del soggetto coinvolto. L'ira, o il furore, è un brusco impulso che offusca la mente e il cuore, a favore dei bassi istinti.

 

L'iracondo desidera una vendetta che può essere attiva o passiva. Quando è attiva, è attuata con rabbia e risentimento contro chi, volontariamente o involontariamente, lo ha provocato, fino ad arrivare azioni violente; quando è passiva, è caratterizzata da una finta riservatezza, da una eccessiva elusività e distanza a danno del provocatore, oppure da una autobiasimazione o sacrificio a danno di sé.

 

L'iracondo può infatti provare una profonda avversione non solo verso qualcosa o qualcuno ma, in alcuni casi, anche verso se stesso.

n° 7

Accidia

Male esistenziale, inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene

Accidia: s. f. [dal gr. ἀκηδία «negligenza», comp. di ἀ- priv. e κ ῆ δος «cura»,

assunto nel lat. tardo come acedia e acidia

 

L'accidia è un male dell'anima che si manifesta nella persona che ne soffre come negligenza e come indifferenza agli accadimenti della vita e al prossimo, a cui si aggiunge un sentimento di tristezza e soprattutto di noia nel vivere. Colui che pecca di accidia è infatti noncurante di ogni forma di iniziativa o di azione, immerso com'è nel suo torpore malinconico. L'accidia può essere un sentimento tutto interiore quando è mancanza di gusto verso la vita oppure essere esteriorizzarsi in pigrizia e inattività.

 

L'accidia è strettamente legata alla noia: entrambe infatti nascono da uno stato di soddisfazione e non di bisogno. Infatti, un eccessivo soddisfacimento esteriore comporta assenza di interessi, monotonia delle impressioni, appiattimento delle sensazioni, e vuoto interiore dovuto.

 

Nella tradizione cristiana l’accidia è l'avversione o l’indolenza all'operare il bene dovuta alla noia del divino e al disgusto di ciò che proviene da Lui. L'accidia indica lo stato di una persona la cui fede vacilla, o è andata persa.

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